Apologia del piano B presentato nella libreria Arcobaleno in un venerdì di marzo dolce e piovoso

La carinissima libreria Arcobaleno a Civitanova Marche, sita lungo il corso principale a due passi dalla stazione, il 5 marzo, un venerdì dove la pioggia non ha mai smesso di cadere dal cielo, ha ospitato il libro Apologia del piano B  in una presentazione tanto intima quanto profonda.

E’ stato diverso da tutte le altre presentazioni.

Properzi firma Apologia del piano b alla libreria Arcobaleno

Properzi firma Apologia del piano B alla libreria Arcobaleno

Roberta, la padrona di casa, appena mi ha visto era sconvolta. Dopo aver letto il libro pensava che io fossi realmente Giuseppe. Poi l’ho tranquillizzata e le ho fatto vedere i miei stivali Just Cavalli a punta col tacco pesantissimo, le mie unghie smangiucchiate da un’insana abitudine che nasce esclusivamente da qualche inesattezza psicologia che si verifica nel mio cervello. A quel punto Roberta ha preso giustamente le distanze e ha iniziato ad attendere con ansia gli altri invitati sperando di incontrare e allo stesso tempo di evitare  i protagonisti del romanzo. Tuttavia per sfiga e fortuna questi non si sono fatti vivi tranne uno di essi che sino a pochi giorni fa ignorava l’esistenza di Apologia del piano B.

Properzi con in mano il libro Apologia del piano B

Properzi con in mano Apologia del piano B alla libreria Arcobaleno

Finita la presentazione, scattate le foto, abbiamo iniziato a sbirciare tra gli scaffali della libreria e alcuni di noi hanno fatto compere.

Per tutta la durata della presentazione, la pioggia non ha smesso mai di picchiettare il tetto delle case. Roberta è stata una padrona di casa di una gentilezza unica. Il libro che ho comprato è stato

FILOSOFIA DELLA PAURA

Properzi durante la presentazione Apologia del piano B libreria Arcobaleno

Properzi se la ride e se la canta durante la presentazione alla libreria Arcobaleno

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Tratto da Apologia del piano B

Non so se a voi qualche volte nella vita vi sia capitato, ma nella mia ci sono state occasioni – enumerabili sulle dita delle mani – nelle quali, come si suol dire, a un certo punto, per ragioni insondabili, la luce si è spenta.
E d’incanto ora per me è buio pesto.
Mi scoppia un falò nel cervello e ivi si accavallano razioci­ni irrepremibili che protendono dall’Illogico sino a un punto incognito.
Quindi soffermo il pensiero sullo stato delle mie mani. Le ferite ai pollici, le unghie distrutte e le pellicine sfogliate con l’azione dei denti in uno stato di assenza di controllo. Sangue fresco pronto a gocciolare da rinnovate lesioni epidermiche.
E poi la mente mi presenta l’immagine dei miei organi della vista. Michele mi ripete spesso che ho gli “occhi da negro”. Nell’intorno delle pupille c’è sporcizia mescolata con uno sfondo giallo dalle striature cruente. Torbidi. Pesanti. Iperbili­rubinemici. Se davvero gli occhi sono lo specchio dell’anima, allora non vorrei mai vedere l’immagine riflessa del mio spi­rito.
Le mie mani. I miei occhi. Queste parti corporee mi si ri­percuotono addosso come simboli esteriori di una interiorità instabile e predisposta a estemporanee eruzioni.
Le scarpe che indosso. In pelle. Just Cavalli. Appuntite, suo­le in cuoio. Tacco da quattro centimetri. Talmente duro che quando il mio passo è troppo lungo e veloce, l’impatto rigido mi provoca una fitta alla schiena.
I miei chilogrammi. Centocinque. Se avessi studiato nella mia vita per quante ore di sport ho praticato, adesso avrei conseguito almeno dieci lauree. Il mio corpo è costituito da fibre muscolari massicce e che possono fare male.
Mi hanno derubato due giorni fa. Mi hanno portato via tut­te le merdacce che avevo cambiato, le carte di credito, i do­cumenti e il telefono. Hanno esagerato una volta, incularmi ancora è un inammissibile eccesso.
Rimango immobile mostrando una posticcia condiscenden­za. Metto un braccio sulle spalle di Alberto dicendogli di stare tranquillo. Mi rivolgo poi alla cicciona e al bufalo segnalando che è tutto ok e che stiamo per pagare.
I miei amichetti mi guardano subodorando che qualcosa di strano sta per accadere. Loro sanno che nelle mie tasche non c’è nemmeno un centesimo.
I mie polpastrelli fanno pressione sulla parte destra della spalla di Alberto come se questo segno fosse il messaggio chiarificatore di ciò che sta per avvenire. I suoi occhi si in­crociano con la mia serietà. Scruto anche Simone limando la tensione con un accenno al sorriso e con uno sguardo il quale spiega che insieme risolveremo a breve la questione.
Ma dobbiamo essere uniti. Non posso spiegarvi ragazzi, tuttavia è giunto il momento: vi state cagando sotto e quindi avete capito tutto.
Con la coda dell’occhio mi concentro sulla posizione dello scimmione. È fermo dietro di noi con le mani parallele al baci­no, le braccia tatuate che divergono come succede ai culturisti a causa degli enormi dorsali che si costruiscono. È molto gros­so ma anche attempato. Dovrebbe avere all’incirca quarantasei quarantotto anni. La sua figura è appesantita dai muscoli e dalle occhiaie. Mi sa che è lento. È potente ma pachidermico.
Faccio il gesto di andare a pagare anche se non ho il porta­fogli addosso. Eseguo una profonda inspirazione, le palpebre cedono per quanto basta a trovare la concentrazione che cer­co, il pensiero giusto per evitare e avvicinare un qualcosa che potrebbe essere assimilabile alla morte.

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